Di recente abbiamo parlato spesso di come il mondo del lavoro stia cambiando, di come ci sia un picco di richieste per mansioni innovative e di come alcuni dei settori più tradizionali stiano arrancando in termini di richieste di lavoro. Quest’oggi, andremo invece a vedere come stanno cambiando i lavoratori, non tanto come figure professionali, quanto come esseri umani.

Con l’introduzione dello smart-working durante la pandemia da Covid-19, molti lavoratori quali insegnanti, analisti, ricercatori e persino alcuni tipi di  commercianti hanno provato l’ebrezza di eleggere una stanza della casa (di solito, quella con il computer) a luogo di lavoro, e si sono immedesimati in giornalisti, bloggers, scrittori e affini. Lavorare da remoto, con il pc o gli attrezzi del mestiere a portata di mano, per alcuni si è rivelato un passo importante verso la propria indipendenza lavorativa, mentre per altri è stato un evento traumatico che li ha relegati in spazi in cui una volta si sentivano a proprio agio.

Ci sono molti fattori che hanno determinato chi preferisse lo smart-working e chi preferisse “lavorare alla vecchia maniera”, c’è però da dire che un fattore tra tutti ha influito molto: l’età lavorativa. Con questo termine, ci riferiamo all’entità anagrafica della natura di un lavoro stesso (in soldoni: quanto è giovane quella professione rispetto al lavoratore). La maggior parte di coloro che lavoravano in uffici di aziende, o in contesti industriali con sezioni informatiche, hanno espresso preferenza per il lavoro in sede, mentre diversi insegnanti hanno segnalato un trend opposto. Questo deriva anche dal fatto che un insegnante che basa il suo lavoro sull’utilizzo di devices è abbastanza una novità a livello concettuale; un dipendente/impiegato che dapprima passava diverse ore in ufficio, sguardo al desktop, risente dello smart-working perché spesso si sentiva invaso dal proprio lavoro in casa.

Per molte figure professionali dipendenti , il concetto di “lavoro agile” sta per trasformarsi in un ricordo: alla fine del 2023 dovrebbero tornare a lavorare in presenza circa 1,2 milioni di persone, di vari settori, ma in particolare saranno i dipendenti pubblici a tornare al metodo standard.

Di questi, circa 2/3 si dice deluso, in quanto costretto a tornare ad avere meno elasticità nelle mansioni e meno tempo flessibile a disposizione. In particolar modo, saranno i lavoratori con figli under-14 a dover rinunciare definitivamente a questo tipo di esperienza professionale.

Se da un lato sembra che alcuni dovranno rinunciare ed altri ritroveranno la serenità, c’è da dire che, dati alla mano, lo smart-working o “lavoro agile” ha portato moltissime realtà professionali ad aumentare produttività, guadagni (per liberi professionisti e aziende) o addirittura richieste di lavoro. 

La grande attrazione del lavoro da casa è la sopracitata elasticità: lavorare al proprio articolo, al proprio saggio o libro, redigere valutazioni o piani di business nel proprio cantuccio, in abiti comodi e con tutte le utenze personali a portata di mano, si ha la sensazione di essere complementari al lavoro e viceversa. Personalmente, non riesco a prendere direzioni univoche in materia, ma trovo che una buona alternanza tra le due forme di lavoro sia talvolta un toccasana per l’anima. 

Come ben si percepirà dagli articoli del nostro blog, Camelot è stata per me una ragione di evoluzione e di apprendimento costante, e tutt’ora mi insegna quanto possa cambiare la quotidianità di ciascuno, quando si svolge il proprio Dream Job. 

Candidati, qualunque sia la vostra preferenza in termini di mansione, metodo di lavoro, tipologia di contratto o metodo di presenza, non scendete a compromessi a meno che non sia necessario; il lavoro dei sogni esiste ed è raggiungibile, ciò che Camelot è per me, può essere per tutti voi. 

Non vi arrendete, non vi accontentate, puntate laddove volete arrivare.

come sempre, buon lavoro.