A pochissimo tempo di distanza dall’ennesima tragedia sul lavoro, se ne ripresenta un’altra. Sono storie dolorose, annoda-stomaco, avvilenti. Pensare di svegliarsi quel giorno per andare a “guadagnarsi il pane“, per poi ritrovarsi a pochi respiri di distanza dalla fine. Non è una storiella strappalacrime né un storia semplice: sono dieci, venti, cento e anche mille storie semplici, di semplici persone. Storie che non vogliamo sentire più. 

Ieri pomeriggio, nel trevisano, una giovane operaia ventiseienne ha perso la vita rimanendo incastrata in un macchinario industriale non meglio specificato, in quello che viene descritto come un “classico incidente sul lavoro”. Senza impiegare retorica o mezzi termini, c’è da riflettere: si sono verificati così tanti incidenti ed incidenti fatali sui luoghi di lavoro italiani, che di fronte ad una vita stroncata, sembra possibile distinguere tra ‘classico’ e atipico incidente mortale.  

Quanto accaduto ad Anila Grishaj è, tristemente, una realtà che sembra non voler smettere di ripetersi ( ricordiamo gli uomini coinvolti in un tragico incidente ferroviario mentre lavoravano sulla trainline di Brandizzo, fatalità che non ha ancora compiuto tre mesi).

Urge il cambiamento, quanto prima possibile. Servono situazioni lavorative in cui non si muore. Persone come noi, desiderose di inseguire il Dream Job, desiderose di fare qualcosa in più, pronte a mettersi in discussione non vogliono, non devono e non possono essere stroncate da ciò che dà loro il pane. 

Noi di Camelot esprimiamo tutto il cordoglio alle famiglie, agli affetti delle innumerevoli vittime di un sistema lavorativo che sembra aver dimenticato; che sia per bisogno o per desiderio, sembrano aver dimenticato.