Bentornati nel Blog di Camelot, il nostro piccolo spazio in cui vengono approfonditi gli argomenti che, settimanalmente, emergono dalle nostre ricerche, dalla nostra curiosità o dalle vostre richieste!
Nell’articolo odierno, facciamo luce su una situazione che, per quanto diffusa e problematica, riesce sempre a sgusciare via dai tavoli di discussione e talvolta rimane pesante e pressante senza però essere considerato a sufficienza, come il cosiddetto elefante nella stanza. Stiamo parlando della Ricerca Attiva di Lavoro, una di quelle pregiatissime componenti di know-how personale che nessuno sembra conoscere, ma che si rivela e si è rivelata un vero e proprio asso nella manica di molte persone in cerca di lavoro o di un obiettivo concreto. Come iniziare a parlarvi di questa pratica per farvi capire la sua efficacia e quanto si possa dimostrare valida? Direi che il metodo migliore è raccontare una storia di Ricerca Attiva che ha fatto la storia. Restate con noi fino alla fine di questo articolo, non ve ne pentirete.
Una storia di cuore, mente…e testa dura.
Questo nostro racconto ha inizio con un desiderio. Il desiderio di un uomo degli inizi del ‘900, tale Edwin C. Barnes che, armato di intelletto e fervore, sprovvisto di denaro, di indicazioni o di voglia di rinunciare, saltò su un treno merci che dalla costa occidentale americana sarebbe arrivato ad Orange, nel New Jersey. Cosa poteva spingere un intellettuale senza grandi precedenti professionali o accademici a fingersi merce diretta ad Orange, NJ?
Nei primi anni del ventunesimo secolo, questa piccola periferia era sede degli uffici di un certo Thomas Edison (per chi non lo conoscesse, parliamo dell’inventore della lampadina elettrica, del fonografo, della batteria alcalina e molto altro); una persona geniale, apparentemente irraggiungibile, che si circondava di virtuosi e che non demordeva su nulla. Immaginate ora, un Edwin Barnes logorato dal viaggio e dalle condizioni economiche non rosee, che entra negli uffici di Edison asserendo “sono qui per entrare in collaborazione con lei.” Il suo obiettivo non era “provare ad entrare nel ramo neonato dell’elettricità” né “Iniziare da ciò che voleva, per poi conservarsi una serie di seconde possibilità”; Barnes sapeva che il suo fervore e il suo desiderio non si sarebbero placati finché non avesse raggiunto la destinazione nella quale già viveva mentalmente. Venne assunto da Edison, miracolosamente, ma come operaio: il suo compito era (e sarebbe stato per almeno cinque anni) contribuire alla realizzazione pratica di componenti inventate da Edison.
Per cinque anni Barnes non arretrò di una nicchia, non si scompose di un frammento, non perse un briciolo di speranza: sapeva dove sarebbe stato, sapeva dove DOVEVA essere, e nulla gli avrebbe fatto mollare il colpo. La vera svolta arrivò sotto forma di prodotto: l‘Ediphone, quello che divenne poi noto come registratore vocale. Al momento della messa in vendita di questo prodotto, molti venditori che lavoravano per conto di Edison preannunciarono una grande difficoltà nel vendere e far comprendere la validità di quel prodotto. Non Barnes, che, animato da tutto ciò che abbiamo raccontato, garantì all’inventore/imprenditore che avrebbe curato personalmente la facilitazione di diffusione di questo prodotto, e che lo avrebbe fatto ad una condizione, ovvero che fosse stato lui al comando del team di vendita adibito all’Ediphone. E così fu. Guidato da passione e rifiuto di scendere a compromessi con i propri sogni, Barnes divenne così dedito a questa componente edisoniana che la migliorò, la diffuse e la semplificò, fino a diventare un associato del suo datore di lavoro, vivendo il suo sogno fino all’ultimo giorno.
Cosa possiamo estrapolare da questa storia che ha dell’incredibile sotto così tanti punti di vista?
Innanzitutto, facciamo due riflessioni: Edwin Barnes non aveva alcuna esperienza con il lavoro che stava andando a prendere in carico (esatto, non a “cercare”, ma a “prendere”). Non aveva un soldo e non aveva alcun piano secondario, aveva una famiglia e degli amici che molto probabilmente, sentendosi dire “salterò di nascosto su un treno merci e mi presenterò a Thomas Edison per un lavoro, e non accetterò un rifiuto” avranno come minimo dubitato della sua sanità mentale.
Non aveva nemmeno la garanzia di giungere a destinazione, eppure arrivò ben oltre Orange e ben oltre le sue stesse aspettative.


E dunque..L’Importanza della Ricerca Attiva di Lavoro?
Questa storia che sembra quasi inventata, che sembra racchiudere una semplice spronata alla rincorsa impazzita dei propri sogni a discapito di tutto e tutti, ha una grandissima sottorete che riassume ciò che ad oggi viene definita RICERCA ATTIVA DI LAVORO. Una ricerca professionale alla quale non si è più abituati, “perché al giorno d’oggi sognare costa troppo e garantisce troppo poco“, “perché se non si conosce qualcuno ai piani alti non si potrà mai raggiungerli con meritocrazia“, o ancora “perché il contesto sociale ci impedisce di correre questi rischi“. Tutte osservazioni valide e comprensibilissime, che però spesso e volentieri non sono altro che una catena che noi stessi scegliamo di imbracciare.
Ovviamente, cambiati i tempi, cambiate le pratiche. La ricerca attiva del giorno d’oggi non vuole farvi infrangere la legge e il buon senso per arrivare al lavoro dei sogni; vuole fare capire che è ancora più che possibile sognare di fare quel lavoro, è ancora possibile ottenere ciò che si desidera e che partire dal presupposto “perché sognare di lavorare” non ci esimerà dal farlo, né ci porterà risultati migliori di una ricerca attiva e ponderata del nostro obiettivo. Esatto, anche il nostro obiettivo può non essere definito e richiedere riflessione, prova e magari anche qualche scivolone. Lasciamo che chi si crede troppo figo per ragionare si accontenti del sapore dolceamaro del cinismo, quella piccola eco di “se rinuncio in partenza mi sentirò meno sciocco/a” rimanga a chi non vuole far nulla del proprio benessere, se non rifuggirlo.
In sintesi, la Ricerca Attiva di Lavoro si traduce nel compiere i vari step che di solito si intraprendono quando si cerca “la qualunque”, e declinarli però in ciò che sappiamo fare, ciò che vogliamo fare e come abbiamo intenzione di muoverci in quella direzione. Sembra facile, quasi sciocco a dirsi, ma se abituiamo la nostra persona a pensare ad un futuro concreto ed edificabile, ad un futuro in cui si possa trarre soddisfazione dal proprio percorso e da dove si è, il mondo del lavoro non sarà più lo stesso. Siamo stati così abituati ad accontentarci del minimo, a moderare i sogni e a non meritarci la felicità, che stiamo iniziando a marcire lentamente come società produttiva: nessuno è felice del proprio lavoro, nessuno crede di poter avere di meglio. Dall’altra parte, chiunque offra lavoro crede erroneamente di star regalando le stelle solo perché offre uno stipendio.
Come sempre: Buon lavoro.