Coloro tra i nostri lettori che seguono la mia persona tramite social o tramite il nostro Podcast sapranno che apprezzo molto l’analisi semantica e il breakdown delle notizie di cronaca. Una news che ha colto la mia attenzione oggi è relativa alle modalità di acquisizione di molte posizioni lavorative in Italia, per la precisione il 43% dei candidati: la cara vecchia referenza o (segnalazione) è tutt’oggi il metodo di selezione ritenuto più affidabile e sicuro. Mentre molti si soffermano ad esporre il dato, la mia quest della giornata consiste nell’esporre i come e i perché di questa fenomenologia, anche e soprattutto considerando quante novità arricchiscono il mondo del recruiting giornalmente. 

 

Una macchina ultra-complessa che non funziona?

Come mai, nell‘era della digitalizzazione che taglia le distanze fisiche, nell’era delle soft skills e del capitale umano si fatica ancora a reperire colloqui di lavoro che siano all’altezza dei colloqui referenziati? Quali fattori rendono così dominante questo metodo di selezione? La realtà potrà risultare un po’ scontata, ma quanto si cela dietro un po’ meno. La segnalazione tramite amici, familiari o conoscenti è ovviamente un metodo iper-efficace: teoricamente, la referenza diviene sinonimo di “raccomandazione“, quindi un chiaro messaggio di accettazione di mediocrità, a patto che il lavoratore non risulti poi seriamente deleterio per il luogo di lavoro, sarà sufficiente che sia una “risorsa decente” per potersi tenere la mansione. Nei casi in cui la raccomandazione non avvenga e si resti semplicemente nell’ambito della segnalazione, resta comunque un fattore incredibile la scrematura assoluta alla quale si accede intrinsecamente: si bypassano i vari C.V. in attesa impilati su qualche scrivania o in qualche cassetto, si scavalca l’iter cronologico di assunzione e si ottiene una conoscenza diretta con la persona che materialmente fornisce lavoro; considerata la scarsa presenza nazionale di aziende e imprese “grandi” (200 dipendenti in su), spesso la persona che garantisce accesso alla posizione lavorativa è anche il titolare dell’azienda.

Eppure, nonostante i vantaggi chiarissimi, c’è un enorme compromesso che non è così scontato considerare: naturalmente, non si dispone di segnalazioni e conoscenze illimitate, vien da sé che, salvo pochissimi fortunati, quasi la totalità di coloro che viene segnalata all’amico o al parente per un lavoro, non accetterà quel lavoro come il suo Dream Job, piuttosto come un vero e proprio ripiego per necessità.

Ecco che inizia a delinearsi la motivazione del “non è così scontato” che ho anteposto nell’incipit. Con la fondazione di una serie corposa di siti web di pubblicazione annunci e offerte, con la comparsa di gruppi social incentrati su questo scambio, e con l’arrivo dell’IA di supporto per redigere i C.V., come mai ancora non si predilige una ricerca più ad ampio spettro? Tenendo a mente la soggettività di quanto segue, ecco una teoria: e se tutti questi aggiornamenti non servissero a niente, in quanto il mercato del lavoro è marchiato da un approccio sbagliato da parte di tutti (o quasi)?

Perché concepire un’IA per aiutarci col C.V., se sappiamo benissimo che le aziende si avvarranno di un’IA per leggerli e scremarli? Perché prendersi la briga di iscriversi presso un’agenzia interinale, se si sa quasi per certo che verremmo segnalati in base all’azienda che ha espresso più urgenza e non in base a ciò per cui ci siamo registrati lì? O ancora, perché sperare di svolgere il proprio Dream Job in un contesto sociale che continua ad urlarmi nei timpani che devo essere grato per qualsivoglia situazione lavorativa mi garantisca la sopravvivenza?

 

Queste sono domande che molto probabilmente il grosso dei candidati che va di referenza si pone su base giornaliera. Ciò è inaccettabile. È inaccettabile accettare una realtà che parte ricordandoci che nulla deve darci gioia, che non dobbiamo aspettarci nulla né chiedere nulla. Purtroppo, quand’anche nascessero strumenti che aiutano concretamente candidati e aziende a venirsi incontro, ad accelerare e “bonificare” l’iter di ricerca e selezione, questi ultimi faranno storcere il naso a chi è abituato a pensare secondo crismi preimpostati, a chi si rifiuta di sperare perché ha paura di fare il passo più lungo della gamba, a chi dall’altra parte ha buttato migliaia di euro per rimpinguare le casse di aziende e organi che mai hanno aiutato. Ecco che l’immobilismo continua, anzi, parafrasando una celebre frase di una celebre storia cinematica: “ecco che il nulla dilaga”. Noi di Camelot abbiamo sempre ritenuto sciocco lamentarci e ancor più sciocco lamentarci stando a guardare, ecco perché il nostro modo di mettere in contatto aziende e candidati trascende da ogni soluzione convenzionale, ecco perché per noi funziona.

 

In Conclusione

Che siate interessati a sopravvivere o a sognare, è affar vostro. Ciò che Camelot si propone di fare è velocizzare, snellire, migliorare, aggiornare e rendere  trasparente ogni colloquio, garantendo ai candidati i criteri selezionati (CCNL,paga netta minima accettata, verifica delle competenze…) e garantendo all’azienda che li rispetta una risorsa umana inestimabile, decisa, interessata, ma soprattutto, soddisfatta.

Come sempre: Buon lavoro .