Lavori (Quasi) Morti
I Lustrascarpe
In questa edizione di Lavori (Quasi) Morti si parlerà di una professione che, se praticata al giorno d’oggi solleverebbe non poche controversie, non per la natura della mansione in sé, ma a causa della predominanza di popolazione infantile che si trovava a svolgerla. Parliamo dei lustrascarpe, mansione emblema dello spirito del sogno americano, la mansione che romantici e creativi prendevano in riferimento qualora volessero narrare storie che partivano alle stalle e finivano alle stelle. C’è da precisare inoltre, che in alcune culture contemporanee, i lustrascarpe vengono ancora impiegati con discreta frequenza, e sono (perlopiù e non tutti, sfortunatamente) adulti con regolare licenza d’esercizio.
da Shoe Shine Boy alla realtà, una storia di sacrificio
Da dove nasce quindi questa rimarcatissima correlazione tra quello che veniva visto come un mestiere umile, ai limiti dell’indegno, ed il concetto intrinseco di successo, determinazione, sogno?
Tutto deriva dalla romanticizzazione della professione da parte di scrittori del calibro di Charles Dickens (la sua prima pubblicazione, “Il circolo Pickwick”, vede spesso scene e dialoghi che coinvolgono i ragazzini lustrascarpe che pattugliavano le zone più densamente popolate di Londra, in particolar modo Sam, uno dei protagonisti) o Horatio Alger Jr., che con la sua storia “Ragged Dick” (è il vero titolo dell’opera, non ha ovviamente le connotazioni ambigue che avrebbe al giorno d’oggi) ha portato il lustrascarpe omonimo al ruolo di protagonista ed eroe della narrazione. Questi piccoli e grandi contributi artistici divennero poi la base che i primi filmmakers americani iniziarono a sfruttare per poter scrivere storie in cui anche le persone di estrazione sociale “inferiore” potevano guardare con un occhio immersivo. Alcune di queste pellicole, come “Sciuscià” di Vittorio De Sica, Underdog dei General Mills e il già menzionato “Shoe Shine Boy”di Walter Hart e Mel Bryant, hanno riecheggiato nei decenni, fino ad elevare il percorso di vita del lustrascarpe a modello di coraggio e forza di volontà.
I lustrascarpe vengono poi consacrati dal personaggio di fantasia Zio Paperone che, nel famosissimo primo numero, guadagna la sua prima monetina lavorando come lustrascarpe insieme ad alcuni fratellini ed il padre, mettendosi poi in proprio e passando poi attraverso moltissime mansioni che gli frutteranno i celeberrimi “5 multiplugilioni, 9 impossibidilioni, 7 fantasticatrilioni di dollari e 16 cents”. Questo personaggio, nonostante sia l’unico che non cerchi in alcun modo di proiettare il lettore nell’identificarsi con lui, ha sicuramente piantato il seme più fertile nella leggenda del lustrascarpe che fa fortuna.
Gli Attrezzi del Mestiere
Un lustrascarpe, indipendentemente dal periodo nel quale vogliamo collocarlo, disponeva di una cassetta di legno o di cuoio che al suo interno conteneva spazzole di varie dimensioni, durezze e forme, ciascuna adatta a lustrare al meglio una determinata sezione della scarpa, e una componente cerosa che donava quell’effetto brillante. Dai primissimi modelli di scarpe mai realizzati (sul quale i lustrascarpe applicavano grasso animale che poi veniva steso con pellicce) al XX sec. in cui venivano realizzati e commercializzati anche composti chimici a base di vernice diluita per riparare eventuali scolorimenti sulle scarpe, l’attrezzatura dei lustrascarpe è rimasta molto simile nel corso dei secoli.


A sinistra: Gli attrezzi del mestiere che ogni lustrascarpe portava durante il lavoro
Sopra: un ragazzo lucida le scarpe di una donna nelle strade di Manchester, XXsec.
E poi?
Al giorno d’oggi, il mestiere del lustrascarpe ha invertito molto la sua valenza nella cultura popolare: oggi solo i più abbbienti ricorrono al lustro delle scarpe, per diversi motivi: per fortuna, questo mestiere è diventato man mano una parte integrante del mestiere artigianale del fabbricare scarpe, quindi viene praticato per modelli di calzature realizzati a mano con materiali pregiati che, nell’era delle sneakers sportive e delle scarpe a basso prezzo, non viene quasi più considerato.
In tempi in cui materiali come gomma e giunture in polimeri e plastiche varie non erano ancora concepiti, l’idea di gettar via un paio di scarpe o stivali a causa di piccoli o non tanto piccoli segni di usura o sporco, era quella che al giorno d’oggi viene definita “rich guy mentality” che non necessita di traduzione.
Insomma, una mansione che ne ha viste di cotte e di crude, che ha ispirato moltissimi a crederci e che, mentre oggi ci ripugna concettualmente a causa del larghissimo impiego di bambini per svolgere la mansione, ha garantito a famiglie senza uomini in casa la possibilità di andare avanti (ricordiamo che nel corso del XX Sec. una donna in carriera aveva tre possibili interpretazioni dalla mai-sazia-di-cavoli-altrui popolazione: poco di buono, nobildonna sola votata al lavoro, persona di bassa lega che doveva abbassarsi a “sporcarsi le mani” lavorando a fianco dei mariti nelle industrie). Ad oggi si intravede ancora, di tanto in tanto in qualche cittadina afgana, turca o centroamericana, qualche persona che attende il prossimo cliente in stazione o all’aeroporto, con un borsone da lustrascarpe adagiato davanti ed il sorriso di chi sta tenendo viva una tradizione secolare, solo più etica.