Ultimamente si parla spesso di “skills economy“, concetto che è stato portato avanti recentemente anche dal World Economic Forum nella pubblicazione del Future of Jobs Report, che vede questa pratica come un punto focale su cui si baserà l’intero processo di assunzione e selezione entro il 2028. Ma cosa vuol dire e su cosa si basa questa “skills economy”?
I pezzi di carta piacciono meno
Le capacità pratiche e le soft skills si stanno pian piano inserendo in maniera sempre più importante nei processi cognitivi e pratici che riguardano il mondo del lavoro. Un nuovo cambiamento alle porte fa chiaramente capire come l’evoluzione lavorativa sia la parola d’ordine del prossimo quinquennio. Non si sente più tanto spesso parlare di laurea obbligatoria, non si sente più tanto spesso parlare di processi macchinosi d’assunzione (almeno laddove la mentalità lavorativa sia in effettiva evoluzione), ma si sente sempre più spesso richiedere profili lavorativi che possano vantare una o entrambe tra esperienza pratica nella mansione o spiccate qualità di apprendimento. Ad oggi, oltre il 70% dei leader aziendali coinvolti nella ricerca del W.E.F. ritengono che il divario tra competenze pratiche di chi approccia alla mansione con metodo e di chi vi accede tramite percorsi di laurea è fortemente marcato in sfavore dei secondi, mentre il 40% degli stessi leader aziendali ritengono che questo gap stia peggiorando e continuerà di questo passo. Questo andamento sta poi fiorendo maggiormente tra i membri delle generazioni Y e Z (Millennials e giovanissimi) che sono tra i principali artefici silenziosi di questo approccio molto più dinamico al mondo del lavoro. La “skills economy”, in una frase, è la preferenza da parte dei leader aziendali e HR specialists di lavorare con persone che, indipendetemente da età, genere, percorso di studi, sappiano portare un valore aggiunto concreto al luogo in cui lavorano.
“Da questi dati emergono in maniera chiara il desiderio di progresso che i ragazzi e le ragazze hanno nel voler apprendere e allo stesso tempo sottolineano quanto sia importante colmare la distanza tra conoscenze e competenze, tra teoria e pratica.” sono le parole di Ivan Moretti, C.E.O. di Zeta Service, azienda orientata verso la formazione lavorativa e l’abilitazione professionale, tra le prime a portare questo nuovo approccio anche in termini formativi.


In Conclusione
per quanto ci sia difficoltà nell’ “avviare il motore” del cambiamento, una volta preso il via verrà accompagnato da un’accensione collettiva e difficilmente si spegnerà. un messaggio positivo che alcune realtà formative cercheranno di imprimere nelle menti che si affideranno ai loro insegnamenti; sarà sempre più raro e difficile rimanere impantanati in politiche lavorative che bnon funzionano o in attività che non sono in grado di rispondere all’esigenza di benessere lavorativo che le nuiove generazioni stanno tenendo sempre più di conto.
Cosa ne pensate? Questo approccio più olistico al concetto di “capacità” vi sembra un progresso significativo o pensate che ad oggi si sarebbe potuto “osare di più”?
Fatecelo sapere nei commenti.
come sempre: buon lavoro.