Come spesso facciamo in Camelot, abbiamo passato gli ultimi giorni a proporre i nostri quesiti e la nostra versione di “soluzione” attraverso il nostro Podcast (che potete seguire su Spotify e sulle maggiori piattaforme di podcasting, o su YouTube con supporto video). Ciò che oggi spinge il blog a parlare del podcast è il fatto che la domanda più recente che abbiamo posto, “Quale inghippo va sbrogliato prima per arrivare al buon lavoro?” É stata poi riproposta (e forse anche risposta) in maniera indiretta dai risultati condivisi con una delle più autorevoli fonti di informazione italiana da parte di Asterys, una importante società incentrata sul coaching e benessere per grandi aziende.

 

Tanti Inghippi e poche soluzioni

 

Secondo i dati condivisi da Asterys, infatti, il problema che accomuna circa l’81% dei lavoratori italiani è la mancanza di soddisfazione lavorativa. Stress permanente, improduttività e infelicità sono ad oggi parte integrante del concetto di lavoro, per almeno l’81% delle persone coinvolte nella ricerca. Un dato che lancia l’allarme senza bisogno di spiegazioni ulteriori.

Questo 81% di insoddisfazione si declina poi in percentuali minori che comunque ci mettono davanti un’evidenza che qualcuno ancora ignora o si ripromette di ignorare: le cose stanno cambiando insieme alle persone, e cose e persone includono luoghi di lavoro e team di lavoro. Non si può perorare un modello di business incentrato su concetti come il sacrificio che si sposa alla gratitudine, perché semplicemente le persone stanno evolvendo nuove necessità, nuove linee da varcare ed altrettante da non varcare. Un esempio riguarda le pari opportunità: se prima le si vedevano come un premio, o peggio, un miraggio, da un po’ di tempo a questa parte si sta comprendendo che devono essere concetti insiti nella totalità delle realtà lavorative; il 47% degli intervistati sostiene di lavorare in un clima di parità opportunitaria, ergo il 53% dei lavoratori non ne riceve e lo fa presente.

Altro punto esaminato: smart working. Circa il 52% dei dipendenti afferma di avere avuto la possibilità di scelta in termini di sede di svolgimento della mansione. Un dato che sembra molto positivo anche a fronte della forzosa induzione legislativa a tornare dietro le scrivanie d’ufficio entrata in vigore a partire dal primo giorno d’Aprile 2024, ma che in realtà lascia trapelare la mancata messa a frutto delle vere potenzialità che una situazione simile ha portato. Un lavoratore che può produrre da casa come dal luogo di lavoro (ovviamente, in un’azienda che abbia la possibilità di domiciliare il lavoro!) è una risorsa importante, e accorpare un sistema di Smart Working che sia davvero “smart” ad un lavoratore che sa essere “smart” a sua volta potrebbe fare la differenza tra le aziende che spiccano il salto di qualità, e quelle che non arrivano a raggiungere nemmeno il trampolino.

Le nuove norme del lavoro dovrebbero insomma andare a soppiantare la rigidità con l’ “agilità” mentale, la gerarchia ferrea con l’ideazione comune e il “nobilitante lavoro duro e gratificante” con “il performante lavoro giusto e soddisfacente”.

Quello che la ricerca sta evidenziando è che molti dei concetti e dogmi che riteniamo o crediamo ritenere imprescindibili per il vero buon lavoro, in realtà sono paletti piantati 200 anni fa da una struttura gerarchico-organizzativa che si rende obsoleta da sola. Riprendendo le parole di Giovanna D’Alessio (co-autrice della ricerca insieme a Giovanni Petti, entrambi ricercatori per Asterys): “l’organizzazione gerarchica degli ultimi 200 anni ha dato alle imprese un forte imprinting sulle modalità di distribuzione del potere, su chi può prendere le decisioni e chi deve eseguirle. Fino ad un certo punto, questo modello ha funzionato perfettamente per garantire controllo, replicabilità e standardizzazione, poi i tempi e il contesto sono cambiati e la maggiore complessità, le ondate imprevedibili di disruption e l’evoluzione tecnologica esponenziale hanno richiesto flessibilità, capacità di adattarsi, velocità e continua innovazione. Le aziende devono quindi cambiare pelle, ma non è semplice perché il paradigma gerarchico ha generato mentalità molto difficilmente trasformabili, se non si trasformano prima la struttura e i processi“.

In Conclusione

La complessa e articolata risposta alla domanda iniziale quindi è “tutto insieme, tutti insieme”. Per poter preseguire verso un futuro radioso e soddisfacente per lavoratori, direzioni, candidati, HR managers e imprenditori, serve uno sforzo comune da parte di tutti nel realizzare che occore spiccare questo salto di qualità, bisogna compiere questo atto di fede nei confronti del futuro, nella piena consapevolezza che poi starà a noi innovatori, a noi che vogliamo cambiare le cose assicurarci che le cose cambino per davvero, in meglio.

come sempre: buon lavoro.