L’Italia risulta essere nella top 3 delle Nazioni europee per la presenza di imprenditori non italiani sul territorio. Risultato di un rapporto condotto e pubblicato da CNA  (Artigiani Imprenditori d’Italia) che evidenzia come un sesto dell’economia straniera europea si sviluppi in Italia, con Francia e Spagna a formare un “triumvirato” in cui si concentra il 75% dell’economia imprenditoriale non nativa. Al contrario, almeno nel nostro Paese, l’imprenditoria italiana sta faticando: ha seguito una parallela discendente del 5% nel corso dell’ultimo decennio circa, esito di crisi economica che, come già accennato precedentemente, colpisce ed ha colpito soprattutto i lavoratori indipendenti e gli imprenditori locali.

La “controtendenza straniera”

Le aziende nate in Italia e gestite da imprenditori non italiani hanno trovato spazio in un momento molto ostico per il mercato (nazionale e continentale), che comunque non ha attecchito la loro avanzata: +42% nello stesso arco di tempo che è servito al 5% delle aziende italiane per finire nell’oblio. Occhio però, che se da una parte ci troviamo davanti ad imprese in continuo aumento in termini di numero, dall’altra emerge la fragilità delle stesse, che durano anche meno di un anno nei casi più sconvenienti. Una costante forma economico-centrica di selezione naturale che al momento sta favorendo tutti e nessuno, ma che viene “affrontata meglio” dagli imprenditori non autoctoni.

“Un dato che dimostra una forte risposta da parte dei lavoratori stranieri, che troppe volte sono stati relegati al gradino più basso della gerarchia lavorativa italiana, al limite del lavoro a nero”, queste le parole di Antonio Ricci, Vicepresidente del Centro Studi e Ricerche Idos ( già curatore della ricerca protagonista di questo articolo), che si dichiara soddisfatto per i risultati conseguiti dall’impresa straniera. Una precisazione che va inoltre fatta, soprattutto nei confronti di quelle persone che associano l’immigrazione (in ogni sua forma) al “furto dei posti di lavoro”: delle 650mila aziende straniere presenti sul territorio, 220mila impiegati e collaboratori sono italiani. “Non rubano lavoro, al massimo lo creano” aggiunge Ricci. Parlando di calcoli di indotto da parte dell’impresa straniera, si stima un potenziale di crescita tre volte maggiore per l’impresa italiana, cha acquisisce valore in questo momento di crescita aziendale.

I settori

Le aziende straniere in Italia si occupano al 70% di servizi terziari, il 20% di edilizia e il restante 10% viene suddiviso per tutti gli altri settori

I lavoratori immigrati sono quasi esclusivamente di origine extraeuropea: 63mila imprenditori o liberi professionisti di nazionalità marocchina, e rispettivamente 53mila e 52mila per rumeni e cinesi. Nonostante le difficoltà maggiori in termini burocratici, queste persone sono riuscite a ritagliarsi il proprio spazio nel mondo del lavoro locale. 

In Conclusione

Antonio Ricci conclude il suo intervento affermando che “Lungimiranza vorrebbe si investisse sul capitale umano di queste persone, che dimostrano una forte volontà di riuscita”.

Per noi di Camelot, il concetto di migrazione lavorativa si sposa molto con quello di Dream Job: non è sempre garantito che il lavoro dei nostri sogni possa trovarsi sempre dietro l’angolo; talvolta potrebbe essere disponibile lontano da casa o lontano dalla propria Patria, per una moltitudine di motivazioni. Sosteniamo sempre che, qualora si dovesse lasciare la zona di comfort per raggiungere uno stato personale in cui risiedono la soddisfazione lavorativa ed il benessere individuale, nessuna distanza e nessun adattamento saranno mai eccessivi. 

come sempre: buon lavoro.