Quando si parla di “fuga di cervelli”, spesso ci si riferisce a tutte quelle persone che, una volta terminati gli studi universitari, vanno a cercare lavoro al di fuori dei confini nazionali. Quello di cui non si parla però è il fatto che, sempre più spesso, non è più solo il caso di laureati o accademici, ma di persone di ogni estrazione socio-culturale che scelgono di mettere da parte la lotta per il benessere alla quale si sono abituati nel Bel Paese. Sempre più persone preferiscono lavorare dietro ad un bancone di un bar svizzero, sempre più persone preferiscono beneficiare di e dall’economia estera, e fanno bene. In questo articolo metteremo a paragone la situazione lavorativa italiana e quella europea, oltre che prendere in esame ciò che l’Italia farebbe per invogliare queste persone al rientro.

Tasse, crisi, insoddisfazione lavorativa e più crisi

Avete presente la scelta di rinuncia? La scelta di tagliare i ponti con ciò che ci ha cresciuto e con il piccolo mondo che abbiamo imparato a conoscere; la scelta di allontanarsi dagli affetti e dalle abitudini è sì una scelta, ma ultimamente sta diventando un concetto sempre più vicino alla costrizione. Sento già l’eco di quei simpatici nostalgici, “sedicenti esperti di tutto, in realtà di niente” (come direbbe un celebre commentatore sportivo) così abbagliati dalla loro concezione ormai inesistente di lavoro che non tollerano chi contesta l’attuale status quo, chi vorrebbe di più e chi sente di meritare di più. “se non ti piace qui, vai all’estero” continueranno a tuonare mentre il ricircolo pensionistico diventa sempre più un miraggio. 

Ebbene, molti prendono in parola questa intimazione, decidendo quindi di fare alcuni sacrifici per poter raggiungere una soddisfazione lavorativa che in Italia fatica ad essere concepita. Ma dove vanno, e perché? Scopriamo insieme le mete “predilette” e i benefit più tenuti in considerazione da chi “fugge”.

 

  • Regno Unito: Nonostante una recente diminuzione, rimane una delle mete principali per gli italiani che emigrano.

  • Germania: Apprezzata per la sua solida economia e le opportunità nel settore tecnologico e ingegneristico.

  • Francia: Offre un ambiente culturale stimolante e opportunità in vari settori professionali.

  • Svizzera: Conosciuta per l’alta qualità della vita e stipendi competitivi.

  • Spagna: Attira per il clima mite e le opportunità nel settore turistico e dei servizi.

  • Stati Uniti: Particolarmente attrattivi per chi cerca carriere nel campo della ricerca e dell’innovazione.

  • Australia: Scelta per le opportunità nel settore tecnologico e per la qualità della vita.

(fonte: QuiFinanza )

 

Visti i “Dove”, scopriamo i “Perché”

Nonostante molte delle mete scelte siano afflitte da situazioni sociali, climatiche, politiche e quant’altro, i nostri connazionali preferiscono adattarsi a quei contesti piuttosto che restare in Italia a perdere sempre più occasioni. I principali motivi che spingono gli italiani in questa direzione sono abbastanza noti, ma per il beneficio della chiarezza, li elenchiamo di seguito:

  • Opportunità di carriera: All’estero, spesso esistono maggiori possibilità di avanzamento professionale e riconoscimento del merito.

  • Retribuzioni più elevate: In molti Paesi, gli stipendi sono più competitivi rispetto all’Italia.

  • Stabilità lavorativa: Alcune nazioni offrono contratti più stabili e tutele lavorative più solide.

  • Ambiente di lavoro innovativo: La possibilità di lavorare in contesti dinamici e all’avanguardia è un forte incentivo.

Naturalmente, la questione sulle retribuzioni risulta la più celebre, ma è solo la punta di un iceberg di problemi che culminano nella macroarea degli ambienti di lavoro.

Il grande dramma dell’Italia che lavora non risiede solo nell’estrema difficoltà con cui cercare ed offrire lavoro vengono concepiti nel nostro Paese (basti pensare al “costo di assunzione” che per ogni imprenditore si aggira intorno al doppio dello stipendio lordo erogato al dipendente, o alle crescenti difficoltà nell’entrare a lavorare nel settore pubblico, o ancora al gap tra stipendio medio e costo della vita che propende sempre più vigorosamente verso quest’ultimo). 

Lavorare in un contesto professionale dominato da chi non ha interesse nel futuro e nell’evoluzione del lavoro in quanto tale è una sfida sempre maggiore. 

Pensando poi alle manovre messe in atto dai “piani alti” per incentivare il rientro dei cervelli e delle braccia, viene quasi spontaneo abbandonare la diatriba: semplicemente, soddisfacendo criteri inconcepibili (minimo tre anni di esperienza certificata all’estero, con guadagni inferiori ai 600mila euro, per i prossimi 5 anni) si potrà beneficiare di una tassazione ridotta del 50%. Mi metto nei panni di chi, dopo rinunce e sacrifici, riesce a costruirsi una quotidianità personale e professionale stabile all’estero, che sicuramente si chiederà “ricominciare daccapo? E chi me lo fa fare?

In Conclusione

Comprendo che la lettura di questo articolo possa generare un sentimento vicino allo sconforto, ma è per questo che Camelot ha deciso di introdurre la ricerca attiva di lavoro. Rivoluzionare il modo in cui cerchiamo ed offriamo lavoro in questo Paese, con un forte focus su formazione continua e abbatimento delle disuguaglianze; l’obiettivo finale è quello di far sì che non si debba più “fuggire” all’estero ma di garantire flussi di migrazione professionale voluta e richiesta, che non si debba più scegliere se lavorare od essere soddisfatti, ma che queste due strade diventino fili della stessa radice. Con formazione e dedizione al cambiamento, non è e non sarà solo un miraggio.

Come sempre: Buon lavoro .