Fare impresa in Italia sembra sempre un atto di coraggio, e in effetti lo è: ci si trova spesso a fronteggiare la macchina burocratica più articolata del mondo,che difficilmente riesce a sbloccarsi, anche quando ne vale la pena. Questa realtà lavorativa spesso mette in conflitto imprenditori e collaboratori, i primi che vengono associati ad egoismo e avarizia, i secondi che vengono accusati di demotivazione e pigrizia. Questo “gioco” rafforza molto i vari attori meno visibili che  non vengono quasi mai presi in considerazione, ma che potrebbero unire davvero le due categorie sopracitate.

Intolleranza zero 

Mettere tutti a conoscenza della situazione potrebbe davvero risolvere molto per capire davvero dove direzionare i propri sforzi e metterli a frutto: presumere che un lavoratore sia pigro, che collabori ad un progetto solo per la retribuzione e che sia sempre e comunque sostituibile è sbagliato, soprattutto considerando che le soft skills variano da individuo a individuo, e ognuno di noi ha la potenzialità di essere determinante in un determinato campo di lavoro. Essere poco performanti ed essere demotivati non sono fattori innati, ma solo segnali che ancora non abbiamo trovato la strada giusta per noi, è quindi nostra responsabilità come lavoratori prenderne atto e incamminarsi sul proprio sentiero.

 

Allo stesso modo, presumere che un imprenditore sia animato da avidità e freddezza, da materialismo ed egoismo, e che le retribuzioni “magre” derivino da questi fattori, è altresì sbagliato: va tenuto conto del fatto che ogni dipendente o collaboratore assunto ha dei costi (soprattutto in termini di tasse) che ammontano a circa il doppio dello stipendio che viene erogato a fine mese. Certo, ogni imprenditore dovrebbe assumersi la responsabilità di riconoscere un’impossibilità di continuare a fare impresa; cosa succederebbe però se tutti ragionassero così? 

Avverrebbe l’inevitabile: anche le aziende che cercano di migliorare la situazione per tutti rischiano di perdere la battaglia contro l’ingiustizia sociale. 

Tenendo un attimo da parte le aspirazioni, rimaniamo nel concreto: il numero di imprese calerebbe drasticamente, lasciando nel mercato del lavoro solo i “big player”, ovvero quelle aziende che già adesso dettano le regole del mercato, e si lascerebbe loro totale libertà di fare come credono, anche in termini di diritti del lavoro. Il divario crescerebbe esponenzialmente e la soddisfazione lavorativa resterebbe un sogno utopico per la quasi totalità dei lavoratori.

Ecco perché bisogna fare fronte comune, nel trovare i veri fautori dell’insoddisfazione lavorativa e nel dire “basta” tutti insieme.

In Conclusione

La tassazione incontrollata si traduce anche in insoddisfazione lavorativa. L’impossibilità per un’impresa di ingranare spesso deriva anche dai vari “aiuti” che vengono decantati da organi pubblici e enti privati, ma che vengono puntualmente schiacciati sotto il peso della burocrazia italiana, che tutto aggrava e non aiuta nessuno. Siamo tutti nella stessa barca, e a riprova di questo mi piacerebbe che i nostri lettori, magari non convinti dal ragionamento o curiosi di saperne di più in termini numerici, cercassero online i vari dati relativi a queste tassazioni agli imprenditori, così da poter valutare su basi empiriche quanto stiamo affermando in questo blog.

Come sempre: Buon lavoro .