In una recentissima intervista che “il Dolomiti” ha rivolto ad Andrea Grosselli (segretario generale Cgil-Trentino) si sono finalmente toccati un paio di tasti dolenti. Per spiegare l’affermazione di sopra è necessario approfondire quanto discusso nella suddetta intervista: i punti salienti volgono intorno al concetto di “rinnovamento” della mentalità del lavoro italiano. Tra domanda e offerta di lavoro ci sono (alcuni) dei forti squilibri che non vengono sanati per semplice e mera indisposizione. Approfondiamo le parole di Grosselli.

Immobilismo e passatismo come nemici

Sono proprio i fattori più sciocchi ad impedire alcuni passi in avanti, che si rivelerebbero tra l’altro di altissimo impatto sociale ed economico: le risposte a pressoché tutti le crisi del mondo del lavoro italiano contemporaneo fanno capo a quattro argomenti sensibili e fondamentali, ovvero giovani, donne, retribuzioni e immigrazione. A scanso di dimenticanze e di incomprensioni, riesaminiamo le situazioni più ostiche del momento: le aziende stanno faticando ad assumere, soprattutto a causa del rimpolpo delle tassazioni relative alle assunzioni (se prima un dipendente “costava all’azienda” poco più del suo stipendio lordo, ad oggi il “costo” è molto più vicino al doppio dello stesso), i lavoratori si stanno trovando sempre più ad accontentarsi di qualunque mansione passi il convento, in quanto si riduce sempre più la possibilità e la capacità di guardarsi intorno (il potere d’acquisto continua a calare, le spese continuano ad aumentare ed evidentemente sempre meno persone hanno il tempo e le risorse anche solo per iniziare un percorso formativo che avvicini loro al Dream Job) e  fin troppe realtà lavorative si rifiutano di compiere progressi in termini di uguaglianza e di prospettive di crescita, rimanendo ancorate alle vecchie concezioni (poca formazione, tutta pratica, pochi o nessun benefit).

Nonostante la denatalità italiana sia ormai ben nota a tutti, si continua con queste politiche di “chiusure e muri alzati“, come afferma Grosselli.

Non ci piace che si verifichi l’immigrazione verso (e non da) l’Italia, perché “giustamente”, quando si tratta dei nostri cari figlioletti che vanno a lavorare all’estero, “è l’unica cosa da fare, fanno bene”, mentre quando sono i figli di stranieri a cercare lavoro in Italia, “ce lo rubano, non li vogliamo”, facile poi nascondersi dietro il benaltrismo che impregna concetti ed affermazioni sulle note di “ma alcuni di loro vogliono vivere a sbafo, sono criminali” ed altre piccole, costanti dimostrazioni di ottusità latente che assume la forma di un lattante strepitante che batte i piedi pretendendo di non bagnarsi sotto la pioggia. (cdr)

Noi promotori del vero “buon lavoro” sappiamo ed affermiamo qualcosa che al bigotto che ragiona con l’impulso fa veramente storcere il naso: “serve più immigrazione“; non immigrazione incontrollata, non immigrazione propagandistica come negli ultimi anni, bensì una migrazione di valore, per chi entra nel nostro Paese e per chi lo lascia. Non possiamo fare ragionamenti separati in merito: servono percorsi (formazione professionale, legale, economica, linguistica etc..), servono in soldoni, iniziative che incoraggino la migrazione lavorativa, prescindendo passatismi e discorsi ideologici. Evidentemente, tutti coloro che hanno da bacchettare “gli immigrati che rubano i lavori” trovano più comodo adagiarsi sul bigottismo, piuttosto che concepire il flusso umano internazionale come un vero valore aggiunto che risolverebbe non poche problematiche economiche e sociali. 

Tornando alle parole di Grosselli, che rimarca l’idea di “immigrazione di valore, curata e volta al progresso generale” come uno dei metodi più celeri per riequilibrare domanda e offerta di lavoro, si è esaminato anche l’aspetto prospettico per gli anni a venire, con proposte interessantissime del segretario generale trentino che noi di Camelot promuoviamo sin dal primo giorno. Un esempio è la “questione retributiva“: in termini di potere d’acquisto, “gli italiani hanno perso l’equivalente di due mensilità annue“, in termini di settori più colpiti dal passatismo, il settore turistico primeggia con una mancanza di aggiornamenti del CCNL che va avanti da 6 anni, mentre l’inflazione sale e non esita.

Francamente, su questo tema (retributivo) si sta facendo troppo poco sotto ogni punto di vista- e su questo tema manca anche la volontà di chi assume ad impegnarsi a garantire una retribuzione più equa e più soddisfacente per i lavoratori“- Andrea Grosselli.

In Conclusione

Nelle ultime battute di un articolo dai colori forse un po’ troppo scuri, c’è un piccolo faro (o quantomeno, una lampadina se non altro) che fa ben sperare, riprendendo ancora le affermazioni di Grosselli:  “Forse è il momento di dare il via insieme a un ragionamento su come vogliamo disegnare il nostro futuro, con lungimiranza e qualità. Forse è la volta buona in cui le nostre realtà lavorative possano investire in occasioni di progresso tecnologico impattanti: un processo delicato e che andrebbe regolato, una transizione non immediata in cui, mantenendo alta l’attenzione al lavoratore e al lavoro, parte di esso venga sostituito dalla tecnologia e quindi messo a disposizione di settori meno soggetti a questi cambiamenti tecnologici.

un augurio che noi di Camelot non possiamo fare altro che sostenere, con un piccolo appunto a parte: la sostituzione di alcuni tipi di mansioni non deve significare la fine per chi magari svolgeva quella determinata mansione; è e deve essere un’opportunità per sostenere che si trova a fronteggiare una situazione simile, conducendoli per via preferenziale verso i percorsi che ciascuno di loro vorrebbe (o avrebbe voluto) percorrere davvero.

Come sempre: Buon lavoro .