Spesso, nel cercare lavoro, ci si trova davanti al classico paradosso “si cerca figura giovane, con esperienza“. Una situazione abbastanza insensata che spesso scoraggia molti candidati e lavoratori in generale. Un’altra situazione scoraggiante che si verifica è la scarsissima considerazione che spesso i datori di lavoro dimostrano verso gli over 35, trattandoli quasi come prossimi alla pensione o come risorse umane di minor valore. Ci sono segnali di cambiamento però: secondo dati recenti, su alcuni social incentrati sul lavoro, si sta verificando quella che viene clamorosamente definita “rivincita degli over“: lavoratori di 35-40 fino a 50-52 anni stanno diventando pian piano la fascia di età più considerata per molte mansioni di natura terziaria. Se prima queste fasce di età attraevano solo posizioni manageriali, amministrative e di consulenza, oggi si sta ampliando la prospettiva e si sta iniziando a dare più spazio ai lavoratori più “grandi”; le motivazioni però aprono molti spunti di riflessione. Dettagli a seguire.
Attenzione però…
I dati ai quali facciamo riferimento sono quelli raccontati all‘Adnkronos da parte del giuslavorista Francesco La Badessa che, nel divulgare i dati che andremo ha esaminare, ha parlato di “più concause” che hanno dato origine a questo “ritorno di fiamma”, molte di queste non sono felici né prospetticamente positive, quindi il fenomeno va considerato in maniera imparziale e non va considerato come un trend positivo né negativo.
La Badessa parla di 3 macroaree professionali che risultano essere le più coinvolte in questa “maturazione delle risorse umane”, ovvero:
- -Settore Sanitario e Assistenza Sociale
- Consulenza HR e finanziaria
- Manifattura ed artigianato
Sono campi in cui l’esperienza incide ma al contempo l’avanzare degli anni non precludono capacità, talento né dimestichezza, anzi.
Riportando le parole di La Badessa: ” I profili senior oggi sono tra i profili pioù ricercati dagli imprenditori. Ciò è giustificato dalla presenza di più concause: l’aumento dell’età media della popolazione, la denatalità che comincia a far sentire i propri effetti, l’emigrazione di giovani italiani all’estero, l’aumento dell’età pensionabile, gli sgravi fiscali e contributivi a cui le aziende possono accedere con l’ assunzione di over 50. A ciò va aggiunto un non trascurabile aspetto socio-culturale: le assunzioni degli ‘over’ ora garantiscono una presenza nel medio-lungo periodo e un’affidabilità professionale che spesso i trentenni ancora non hanno, oltre a una maggior duttilità e adattamento nei cambi di organizzazione lavorativa“
In sintesi, sembra un modo molto aulico ed elegante per dire “i giovani o non ci sono o ‘pretendono troppo’, l’imprenditore ci risparmia e i più maturi tendono a chinare il capo più facilmente e ad aspettarsi meno dal mondo del lavoro“, che non semrba essere un bel corredo di anticipazione ai come e perché di questa impennata di assunzioni o interessi manifesti. Non volendo aggiungere interpretazioni a quanto detto dal dott.La Badessa, va comunque fatto presente che questa prospettiva è atta a trovare del buono in una situazione sconveniente, cosa che non dovrebbe essere; l’accesso al lavoro dovrebbe essere un diritto di tutti a prescindere dai conti fatti su imprenditori e poi su lavoratori, a prescindere dall’età e dall’esperienza. Il lavoro dovrebbe essere insegnato ai nuovi arrivati, siano essi junior, senior, giovanissimi o ultracinquantenni. Mentre a livello statale ci sono degli incentivi nell’assunzione di elementi più adulti, sul piano umano si tende a generalizzare e a screditare l’intera situazione attuale, talvolta buttando colpe, talvolta battendo i piedi. Vanno considerati gli aspetti positivi della situazione che si sta verificando e magari farne un caposaldo del “buon lavoro” a tutti gli effetti, promuovendo la diversità e la versatilità che si crea nei luoghi di lavoro in cui ci sono punti di vista variegati e molteplici.


In Conclusione
Nel nome dell’imparzialità e della trasparenza, è giusto riportare anche l’intervento più propositivo di La Badessa che parla di equilibri generazionali: “Gli incentivi devono essere a mio avviso, supportati da imprescindibili fasi di aggiornamento delle competenze e del mantenimento degli equilibri generazionali che, se ben pianificate, valorizzano gli sgravi rendendoli un vantaggio sostenibile, oltre che competitivo“.
Quindi in sintesi, questo turnover generazionale alquanto atipico è sicuramente figlio di una situazione critica che a sua volta deriva da una diffusa sfiducia nei confronti del mondo del lavoro, spesso grazie a organi statali, imprese e (diciamocelo) lavoratori che continuano a rifuggire l’idea che il lavoro possa o debba essere soddisfacente e non un’onere a vita.
Come sempre: buon lavoro.