In questo blog abbiamo spesso portato esempi e raccontato di studi e ricerche, condotti talvolta da organi statali, talvolta da aziende e realtà private. Quest’oggi seguiamo il filone che abbiamo interrotto all’ultimo articolo attinente: si chiedeva rispettosamente alle istituzioni del caso di condurre ricerche che potessero fornire dati concreti  sui quali basarsi, in modo tale che chiunque si fosse trovato davanti a quei dati, avrebbe avuto la possibilità di “correggersi” o di mantenere la rotta. Ebbene, sembra che finalmente il nostro desiderio sia stato esaudito, in quanto una recentissima ricerca targata Gi Group parla di “tre leve fondamentali per garantire un’occupazione, sostenere la cura dei figli con la conciliazione e condivisione dei tempi di vita e di lavoro e cambiare a livello culturale”. Approfondiamo.

Tre Punti e Tre Leve

Rossella Riccò, Resp. Area Studi e Ricerche di Fondazione Gi Group è la mente logistica ed una delle operative della ricerca, che ci introduce al vivo degli studi effettuati spiegando le motivazioni che hanno portato a unire le forze con Valore D e gettare queste fondamenta per il futuro. 

Garantire occupazione significa che a livello statale occorre lavorare e investire per creare un mercato del lavoro che sia innanzitutto regolare, uscire dal mercato nero, che già lo studio fatto l’anno scorso mostrava livelli spaventosamente alti. Fare un mercato del lavoro dinamico e aperto, flessibile nei tempi e nei modi, attento alle esigenze di conciliazione – che preveda smart working, part time reversibile – ma anche redditizio, in cui gli stipendi siano medio-alti per garantire alle persone di fare scelte di garanzia di sicurezza verso il futuro guardato con speranza e generare vita” 

Un messaggio che inquadra in poche frasi diverse problematiche sulle quali lavorare, che non vanno considerate “sfide impossibili”, in quanto l’apparente estrema difficoltà nel garantire una soddisfazione personale e professionale equidistribuita starebbe nel modo in cui il nostro Paese distribuisce il proprio patrimonio annuale, riprendendo le parole di Rossella Riccò: “Il nostro Paese vede un investimento in spesa pubblica per famiglie con bambini dell’1,2% rispetto al dato europeo di 2,4% e un 3,6% della Germania. Gli investimenti per le famiglie, nel nostro paese sono pari al 15% mentre ci sono paesi come la Spagna e la Svezia che hanno un valore superiore al 50% della spesa diretta ai servizi e la Germania ha il 49%”. Come è noto le soluzioni che portano maggiori effetti nel lungo periodo su fecondità e occupazioni, sia sulla partecipazione al lavoro che sulla fecondità, sono gli investimenti fatti in servizi, cioè nel dare alle donne e alle famiglie, o delle coppie italiane, la possibilità di scegliere se stare a casa e poter gestire in autonomia i figli o coinvolgere i nonni o poter avvalersi di un servizio che è educativo. In Italia abbiamo meno servizi e più costosi degli altri paesi”. 

Stando sempre ai dati emersi da questa indagine, l’Italia risulta, insieme a Malta, Islanda ed Irlanda, l’unica Nazione europea che non prevede alcuna forma di supporto scolastico ed educativo gratuito per bimbi da 0 a 6 anni. Va precisato però che Malta ed Irlanda offrono soluzioni pratiche per permettere ai genitori di lavorare da casa restando accanto ai propri figli, o piccole forme di supporto per coloro che decidessero di assumere una figura professionale per badare ai figli. 

Cosa fanno invece Germania e Svezia? La combinazione di congedi maternità e parentali ben pagati, la copertura e la garanzia dei servizi. Questo va a rendere pari al zero la necessità di scelta da parte delle famiglie, dall’età di zero anni all’ingresso nella scuola dell’obbligo. La Germania rende obbligatorio per i bambini l’entrata in una scuola dell’infanzia dai 3 anni ed è gratuito”.

Quindi, ricapitolando, il primo elemento-leva che questa ricerca evidenzia è il progressivo discostamento dal lavoro in nero, stimolando l’attrattività del lavoro regolare, garantendo una distribuzione più equa dei fondi statali. 

Il secondo elemento-leva è il supporto alle famiglie e ai neo-genitori, permettendo loro di vivere la propria vita familiare e professionale senza dover fare troppi sacrifici economici, ma soprattutto professionali.

Terzo ed ultimo elemento da esaminare, ovvero un investimento di fondi ed energie verso un radicale cambiamento delle nostre abitudini mentali, parafrasando Riccò: “un percorso educativo che faccia proprio il tema della parità di genere, della condivisione dei carichi di cura, di lavoro, di domestico, fin dalle scuole, lavorare per favorire l’empowerment femminile, investire per la condivisione più paritaria fra uomo e donna, quindi sul congedo di paternità, su incentivi a quelle aziende che si impegnano, nel rendere possibile e sviluppare la parità. La certificazione di parità di genere è un intervento che va in questa direzione. Ovviamente questo non basta, non spetta solo allo Stato, tutti hanno un ruolo. Le aziende possono sicuramente fare tanto, così come le singole persone nelle proprie scelte di equilibrio interno alla coppia”. 

In Conclusione

Piccole grandi inversioni di rotta che permetterebbero un ricircolo delle mentalità e dell’approccio al futuro da parte di addetti ai lavori, appassionati di ricerca, ma soprattutto noi “comuni mortali” che viviamo la situazione giornalmente e che beneficieremmo non poco di un approcio simile, non solo lavorativamente parlando, ma anche nella rinuncia a tanti sacrifici che tutt’ora non permettono a persone brillanti di esprimere il proprio potenziale. 

Come sempre: buon lavoro.