Quello che può apparire come un incontro poco proficuo, confusionario o addirittura triviale, se svolto correttamente è un incipit al perseguimento dei propri sogni professionali e della concreta realizzazione di come è composta la strada che ci porterà verso quel sogno. Chi ha frequentato un liceo ricorderà bene quegli “orientation days” in cui tutte le classi uscenti venivano accompagnate dalla scuola presso sedi in cui presenziavano rappresentanti di quasi tutte le università esistenti che, con l’aiuto di videopresentrazioni, brochures e tanti sorrisi, cercavano di attrarre nuovi studenti verso i percorsi accademici da loro offerti. Chi ha frequentato un liceo ricorderà molto probabilmente quei giorni come un confuso gironzolare tra uno stand e l’altro, avendo la percezione che ogni facoltà fosse ideale, senza però avere le idee più chiare sul proprio futuro. Ebbene, oggi parleremo dell’orientamento lavorativo, o quantomeno delle sue potenzialità non sfruttate.

“Scegli tu” e non “Scegli me!”

Com’è tristemente naturale che sia, quei caotici (dis)orientamenti universitari avevano prima lo scopo di attrarre nuove leve per i vari atenei presenti, e poi in secondo piano quello di fornire un supporto ed una guida agli studenti indecisi. Premi in denaro, in prestigio o in visibilità vengono elargiti alle università che portano a casa più iscritti, mentre per gli iscritti c’è solo in palio un’edulcoratissima iperbole su quanto sia fantastico quell’ateneo rispetto agli altri. L’ennesima scelta sociologica che di sociale ha solo il numero di partecipanti: tutto resta saldamente orientato al guadagno materiale, mentre passa inosservato il vero motivo che dovrebbe spronare ad organizzare questi eventi, ovvero l’aiuto agli studenti.

Questo grosso preambolo è servito a delineare la situazione principale di cui vorrei parlare oggi: l’orientamento professionale. Ripensate a quello accademico e vedrete molte falle logistiche, ora immaginate quello professionale e le problematiche che porta con sé. Se decidere in cosa specializzarsi per il proprio futuro universitario è complicato, fare lo stesso per decidere cosa fare per una grossa porzione della propria vita è fantascientifico, soprattutto se costellato da fuorvianti promesse e raccomandazioni di qualità assoluta da parte di realtà lavorative che vengono esclusivamente classificate in base alla loro potenza economica. Ed ecco che un importante ingranaggio del nostro modo di fare lavoro si incrina, e fatica a far funzionare l’intera macchina.

In alcune università (perlopiù private) vengono organizzati dei veri e propri Career Orientation Days, che spesso e volentieri aiutano moltissimo i laureandi ad iniziare il proprio percorso professionale, in quanto nonostante le aziende presenti siano comunque motivate dal ritorno economico che una possibile risorsa umana potrà garantir loro, la selezione viene fatta presumendo una ambivalenza di interessi: i recruiter sono alla ricerca di studenti validi e magari già indirizzati verso il percorso che l’azienda compie, e i laureandi sono motivati da anni di studio che impediscono virtualmente loro di compiere scelte azzardate o poco attinenti. Non è sicuramente una situazione ideale né rosea, ma è quantomeno una situazione che porta un vantaggio ad entrambe le parti, seppur parzialmente celato nelle intenzioni. 

Vi ho già chiesto di immaginare tanto e, come Camelot, continueremo a chiederlo a chiunque condivida la nostra Quest, ma questo ultimo esercizio di creatività potrebbe veramente giovare a qualcuno che poi riuscirà a trasformarlo in un progetto concreto; immaginate un futuro in cui qualunque sia il grado di specializzazione dell’indirizzo scolastico/universitario scelto, lo Stato finanzi il supporto e la consulenza studenteschi garantendo così che i recruiter aziendali e, prima ancora, i rappresentanti degli atenei inizino a prendere persone sotto la loro ala non per un interesse lato che verrà dopo, né per una direttiva che talvolta vorrebbero disattendere, ma per il raggiungimento di un obiettivo comune: la piena soddisfazione lavorativa e personale, totalmente equidistribuita tra formatori e recruiter che hanno scelto di guidare gli altri verso la loro possibile meta.

Iniziare a correggere non l’esecuzione ma gli intenti, partendo dallo stadio iniziale della formazione di un essere umano adulto, che studia e/o lavora e sicuramente beneficerebbe da una guida esperta e disinteressata che lo metterà nella condizione di poter fare una scelta oculata, con la minore probabilità di pentirsene. Questo è sicuramente uno dei primi e dei più importanti step da compiere quanto prima possibile. 

 

In Conclusione

Alcune università come la Luiss hanno già iniziato questo tipo di incontri sempre più “studente-centrici” e difatti molti studenti sembrano essere felici della scelta fatta durante i “Career Days” organizzati dall’ateneo. Questa direzione molto incoraggiante va però spalmata innanzitutto al di fuori del settore dell’istruzione privatizzata, che può sicuramente permettersi di selezionare recruiter genuinamente e professionalmente ineccepibili, un po’ per garantire la miglior gamma di servizi erogati ai propri studenti paganti, un po’ per la libertà deontologica della quale un’università privata può godere in più rispetto alla sua corrispondente pubblica. Non è quasi mai giusto valutare le opportunità che si possono offrire in base al ritorno economico che ne conseguirebbe, e nonostante le sfumature che validano questo approccio (in ambiti strettamente professionali come l’erogazione di servizi terziari), l’istruzione, la formazione e la possibilità di scegliere un percorso lavorativo sono (almeno, devono essere) lucide e laccate, non va sfumato niente e non si dovrebbe poter sfumare niente.

 

 

Come sempre: buon lavoro.