L’articolo di oggi dovrà necessariamente lasciare i confini nazionali, dato che si riporteranno alcuni risultati di un’indagine svolta da Boston Consulting Group, agenzia di consulenza statunitense che, collaborando con The Stepstone Group e The Network (entrambe compagnie di facilitazione ricerca lavoro digitale) ha stilato una classifica dei Paesi mondiali in cui l’attrattività verso il lavoro è più alta. Per calcolare l’attrattività sono stati presi in esami moltissimi fattori influenzanti come redditi in rapporto al costo della vita, al potere d’acquisto di quella Nazione, monte ore, diritti e tutele dei lavoratori, welfare, facilità con cui si fa impresa etc.

L’Italia occupa una posizione abbastanza ingloriosa che andremo a snocciolare nel corso dell’articolo, vi basti sapere che non siamo nemmeno in top 10.

La Classifica

Il paese più florido in termini di attrattività lavorativa è l’Australia: con le sue eccellenti manovre economiche che favoriscono la possibilità di fare impresa, una di queste è l’introduzione di una sorta di tassonomia imprenditoriale chiamata “employer value proposition” (lett. “valore della proposta dell’impiegante”) che agevola molto la capacità di scelta dei candidati e permette a chi si interessasse ad un determinato luogo di lavoro di avere prove concrete dell’efficacia, della produttività o dell’etica di una determinata azienda. Gioca a favore della nazione oceanica anche l’altissima qualità della vita in rapporto al costo di quest’ultima: nonostante ci siano ancora molte persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, nonostante il salario minimo sia rimasto identico dal 1994 ad oggi, le persone che faticano a trovare lavoro sono molto spesso figure penalizzate a livello penale o formativo, mentre la quasi totalità delle persone con titoli di studio (anche minimi) e fedina penale pulita si districano agevolmente nel mondo professionale).

Nel continuare la classifica, ci tengo a specificare che alcuni Paesi (ad esempio U.S.A. e U.K., rispettivamente 2° e 4º posto) sono molto ambivalenti in quanto dispongono di grandissime risorse economiche e disponibilità di posti di lavoro, ma difficilmente questi ultimi sono sufficienti a garantire un risultato determinante, spiegheremo meglio questo concetto in conclusione. 

Dopo diversi Paesi di vari continenti (Giappone e Singapore sesto e settimo, Germania e Svizzera quarta e quinta) arriviamo all’Italia che si posiziona al dodicesimo ingresso di questa classifica. Le motivazioni sono molteplici: dalla pressoché totale noncuranza verso le imprese e startup di varia natura, alla fermezza con la quale si osteggia il salario minimo, fino ad arrivare a tassazioni ai limiti del ridicolo che tagliano le gambe agli imprenditori che non dispongano di immediate grosse liquidità (e di conseguenza, alla stragrande maggioranza di operai, dipendenti, impiegati..); L’Italia è ad oggi un selvaggio West in termini di regolamentazione del lavoro e PAL (politiche attive del lavoro), con una non proprio piccola guarnizione di arretratezza, burocrazia e “banchetti sontuosi” in termini economici che stanno affliggendo il mercato professionale.

In Conclusione

Qui vorrei aggiungere una componente estremamente importante per l’apparato complesso che è un articolo su di una classifica: la soggettività. Conscio di rischiare di essere definito poco lungimirante a parlare di soggettività in riferimento a una classifica derivata da una ricerca (entrambi risultati oggettivi che non sono sicuramente influenzabili dall’individuo), ci tengo a sottolineare che questi risultati potrebbero aver saltato alcuni punti fondamentali: noi di Camelot siamo onnipresenti in termini sociali, abbiamo modo di scambiare idee, opinioni e fattualità con esponenti di molte Nazioni dei vari Continenti e, mentre abbiamo riscontrato che la situazione australiana è effettivamente rosea o quasi (molti nostri connazionali parlavano di come l’unico malessere che vivono stando in Australia siano gli insetti e la mancanza dell’Italia in termini di affetti e architettura). Un discorso diametralmente opposto quello che ci è stato presentato da lavoratori americani ed italo-americani, che parlano di una “situazione terrificante” dove qualunque mansione standard non sia sufficiente per poter vivere dignitosamente: schiere di persone hanno affermato di lavorare come cassieri, camerieri, receptionists, infermieri, riparatori e corrieri, ma che in ogni caso si trovano costrette a vivere in auto o a fare rinunce significative come una copertura assicurativa sanitaria più cospicua (ricordiamo che, negli U.S.A., la sanità è completamente a carico degli utenti e delle compagnie assicurative, e che spesso molti luoghi di lavoro stipulano accordi per annettere quantomeno una copertura base ai propri dipendenti). 

Un discorso molto simile viene fatto per Nazioni come il Giappone o la Svizzera, che sicuramente garantiscono un’elevatissima qualità della vita, ad altrettanto altissimo prezzo però. Abbiamo potuto contare un po’ meno sulle testimonianze dei nostri connazionali in Giappone, in quanto la quasi totalità di essi vi risiede svolgendo il proprio Dream Job, che in Giappone riguarda molto spesso le arti visive, il settore videoludico e l’intrattenimento, realtà professionali che tendono ad essere spesso fonte di reddito più che adeguato e che non possono essere suddivise in un monte ore o in un salario definito; parlando della cultura del lavoro nipponica, ci è stato fatto notare come i giapponesi tendano ad esaltare molto più di altre popolazioni l’idea un po’ passatista del lavoro come ragione di vita: molti impiegati accusano gravemente i ritmi semi-insostenibili ai quali sono “costretti” (virgolette dovute, in quanto la pressione non riguarda la sopravvivenza o il benessere personale ma si incentri su una cultura tossica che tende a ghettizzare psicologicamente coloro che non accusano i segni della fatica o che non fanno di tutto per stremarsi). 

Gli esempi che abbiamo approfondito sono sicuramente da tenere in considerazione, anche se questo non vuol dire che la classifica sia sbagliata, né che le testimonianze dirette di alcuni possano parlare per tutta una popolazione, ma che spesso si fa troppo presto a classificare, spesso considerando fattori estremamente importanti ma tralasciandone altrettanti, oppure non tenendo conto di situazioni meno numerabili e calcolabili, come appunto una mancanza della propria terra, o il numero di persone che si reputa soddisfatta svolgendo una o più mansioni. Questo articolo vuole inquadrare con voi una classifica un po’ assolutista, mentre vi esorta come sempre a verificare ogni pezzo di informazione significativa con cui entriamo in contatto

 

 

Come sempre: buon lavoro.