Si torna a parlare di burnout, stavolta a causa di un errore che molti commettono in buona fede: dire sempre di sì. Badate, non si tratta dell’unico errore, anzi: ad anticipare il burnout e i costanti “si” di chi poi ne accusa gli effetti, c’è un errore ancor più grande e NON in buona fede che di solito viene commesso da supervisori, manager, insomma, “capi”, ovvero quello di non tenere il conto dei favori chiesti perennemente e pedissequamente alla stessa persona, talvolta fino a mandarla letteralmente in ospedale per lo sfinimento. La storia di Teresa, condivisa attraverso BusinessInsider, apre diverse domande fondamentali, tra cui le evergreen “è giusto dire di no?” e più specificamente, “se dico di sì a tutto, mi verranno concesse più opportunità?“.

Stachanovismo o Servilismo tossico?

Ennesima domanda. Non sembra così evidente quale delle due direzioni vengano intraprese da alcuni lavoratori come Teresa che, terrorizzata all’idea di “passare per una sfaticata, per una persona che non meritava quello stipendio e quel lavoro”,  ha deciso che la soluzione migliore per venire incontro alle sempre crescenti richieste della direzione (dai pochi dettagli che ha condiviso nella sua storia, riusciamo ad intuire che si trattasse di un lavoro aziendale o di ufficio pubblico), la soluzione fosse quella di privarsi di un pezzetto in più del proprio tempo per volta, arrivando a rinunciare quasi del tutto anche a quelle manciate di minuti di serenità che si concedeva fuori dal lavoro. Durante una riunione, il crollo. Non ricorda bene cosa le sia accaduto, se non di aver perso conoscenza non appena ha accennato ad alzarsi per prendere una boccata d’aria fresca. Prevedibilmente, la conversazione che stava avendo prima di questo crollo riguardava ancora un altro compito extra delegatole dal suo titolare.

C’è un detto che sento di riproporvi quasi come fosse una perla di saggezza; 

Se svolgi il tuo lavoro con costanza, diligenza e velocità, verrai punito con più lavoro“. Questa è la sfortunatamente veritiera idea che anima alcuni capisquadra, capi-sezione, titolari e CEO verso i propri dipendenti migliori. Quanto ego e quanta poca considerazione degli altri si deve avere per credere che il modo giusto per svolgere più lavoro e valorizzare i collaboratori sia quello di far pentire loro di aver lavorato meglio e più in fretta degli altri? 

Parliamoci chiaramente: se siete un titolare di una qualsivoglia realtà lavorativa e preferite pensare come sopra, piuttosto che celebrare i lavoratori diligenti con bonus o vacanze, o piuttosto che assumere più personale, non vi meritate dei bravi lavoratori, e nemmeno l’azienda che state guidando. 

Teresa ha spiegato come si sia sentita costretta ad acconsentire ad ogni incarico extra a seguito di una vita passata a rispondere positivamente ad ogni figura autoritaria che le si sia parata davanti. Questa fenomenologia può essere imputata a diversi fattori, tra i quali la cultura malsana del “vivere per lavorare” che viene sempre più promossa su social networks e spazi privati di lavoro. Il dramma non sta solo nella dedizione deleteria alla quale alcuni dipendenti si sentono costretti a sottostare, ma anche nel fatto che spesso vengano associati concetti simili al “buon lavoro” o alla riuscita nella propria vita.

Teresa ha dovuto rischiare tantissimo, arrivando in ospedale su una barella e ricevere la diagnosi di burnout e ansia clinica, prima di capire quanto dolore stesse arrecando a sé stessa e quante rinunce le abbiano comportato i suoi titolari. Sa di aver appena iniziato il percorso che la porterà ad un equilibrio sano e duraturo, che non la porti a scegliere se vivere o lavorare. Talvolta serve un impatto così devastante per rendersi conto dei piccoli colpi subìti nel tempo.

 

In Conclusione

“Sono consapevole di essere all’inizio del percorso e non al traguardo” afferma Teresa, che ha deciso di non volersi più mettere a rischio per soddisfare richieste non impellenti, non gratificanti e facilmente distribuibili tra i membri del team di lavoro. Speriamo che, a seguito di questa vicenda, i titolari dell’azienda in cui lavora Teresa e coloro che hanno il compito di assegnare gli incarichi in generale possano aver appreso qualcosa che dovrebbe essere scontato.

Le persone sono persone, e nessuna di esse dovrebbe ridursi a qualcosa di meno per venire incontro a qualsivoglia necessità, lavorativa o meno. 

Candidati, lavoratori, tutti: ricordate sempre di essere persone e di star lavorando con delle persone.

come sempre: buon lavoro.