In passato abbiamo parlato di questioni relative all’incompatibilità tra alcuni percorsi di formazione accademica e la realtà lavorativa locale/nazionale. Per riassumere le precedenti riflessioni in breve: abbiamo fatto notare come in Italia vi siano tantissimi laureati che non possono trovare concretizzazione lavorativa nel proprio campo di studi, semplicemente perché il loro campo di studi non trova riscontri pratici (es. dei i 2000 fisici laureati ogni anno in Italia, tutti coloro che hanno scelto la specializzazione in fisica nucleare dovranno per forza andare all’estero in quanto in Italia non si studia il nucleare né ci si lavora). La questione è diventata più corposa data la “provincializzazione” del lavoro che si stea verificando di recente.
“Provincializzazione”
Con questo termine voglio sottolineare come si stia verificando un aumento non indifferente di requisiti e strumenti comuni sempre a più mansioni: L’IA sta venendo impiegata pressoché ovunque, quindi saperla impiegare inizierà ad essere richiesto pressoché ovunque; stesso discorso per la conoscenza di alcune lingue straniere, l’utilizzo di alcuni programmi o la capacità di gestire gli stessi carichi di stress, bene o male di molte capacità cognitive che stanno trovando un terreno comune. Non sapendo con certezza in che direzione questo porti (potenzialmente sembra un discorso positivo e accomunante, ma un pizzico di pessimismo può mutare l’aspetto di queste previsioni in maniera non indifferente), l’università Luiss ha indetto un summit a Roma denominato “The Future of Higher Education”.
Tema centrale del summit (al quale hanno partecipato figure illustri nel mondo accademico come Marcella Panucci, Shitij Kapur e Simon Roy (sono le tre “autorità supreme” dei rispettivi gabinetti universitari, Simon Roy è inoltre la mente dietro la teorizzazione della Higher Education Policy), il futuro ed il ruolo della formazione in esso.
Come evidenziato in apertura da parte del rettore dell’Università Luiss Andrea Prencipe, il compito degli atenei d’Europa è quello di stare al passo con la rapidissima evoluzione a tutto tondo della società contemporanea, anticiparne i venti di cambiamento e contribuire a portare i “dottorandi del futuro” verso una rotta completamente rinnovata. Tra le sue preoccupazioni geografiche che reputiamo inutile inserire in questo blog, anche Shitij Kapur, Vice Chancellor del King’s College di Londra ha espresso il suo cruccio per la formazione avanzata attuale che non fornisce gli stessi stumenti e le stesse capacità di stare al passo rispetto ad alcune delle scuole più avanguardistiche.
Interventi significativi che spingono per un radicale cambiamento di ciò che è e che deve essere un ateneo, luogo in cui molti studenti e corsisti dichiarano di sentirsi indietro rispetto al mondo che li circonda.


In Conclusione
Che fare quindi? O meglio, come attuare un cambiamento che non può designare un punto di partenza né una conclusione effettiva? I luminari della formazione parlano di una visione collettiva che deve scavalcare un grosso ostacolo: il nostro attuale modo di vedere le cose. Siamo umani e ragioniamo per step in manera inconscia, non riusciamo ancora a ragionare in maniera “radiale”. Immaginate il mondo come una torta, e immaginate di tagliarne una fetta che in realtà include l’intera torta. Sembra impossibile, no? Se tagli la torta che è già intera, non l’ho tagliata; se ne taglio una fetta triangolare, tuttavia, non ho abbastanza torta per capire come deve essere la prossima torta e quindi averne tagliato una sola fetta non è completamente, ma quasi. Le fette di torta sono i cambiamenti che sono stati proposti da istituzioni ed atenei finora: piccoli, settoriali, step by step. Il “taglio radiale” è invece quello che si sta iniziando a mettere sul tavolo ora: un cambiamento totale, al contempo di mentalità, di abitudini di apprendimento e lavoro e persino di insegnamento e ragionamento. Continuiamo a premere l’acceleratore evoluzionistico e dobbiamo necessariamente restare al passo per evitare di restare indietro rispetto a noi stessi.
come sempre: buon lavoro.