La differenza generazionale si fa sempre più spazio in una realtà lavorativa che accoglie poco le nuove leve e lascia andare ancor meno i lavoratori senior. Questo l’incipit di molte ricerche e analisi che stanno venendo condotte da Censis e ISTAT atte ad affrontare in maniera più organizzata la crisi lavorativa attuale. Mentre i giovani, individualisti, dedicati e versatili vengono considerati quasi sempre per i loro aspetti negativi, neanche i senior se la passano meglio. Laddove c’è un vertice (aziendale o pubblico) che differisce in età ed approccio dai collaboratori, sembra non esserci più spazio per il dialogo. Cosa significa questo per il futuro?

Una situazione caotica, come evidenziato da importanti testate internazionali, che si infittisce con l’aumentare del divario generazionale. Al giorno d’oggi, le generazioni occupate al lavoro sono più di tre: iniziando dai baby boomers, si passa per Gen-X, Millennials e si finisce con la Gen-Z attuale. Sia in Italia che nel resto del mondo, coesistono realtà lavorative in cui un’azienda è amministrata da un baby-boomer, e mandata avanti da una maggioranza di Gen-Zers che molto raramente condividono approcci etici, lavorativi, tecnici o culturali con i propri titolari. Quella che sembra poco più che una situazione in cui si deve fornire supporto tecnico ai senior e insegnare pratiche di senso comune ai più giovani, al limite della gag, è in realtà un fulcro importante e (fin troppo) spesso una fonte di problemi di comunicazione ed esecuzione, che a volte segnano i destini delle aziende e dei singoli.

È la prima volta da quando si è iniziato a regolamentare le fasce di età impiegabili che ci troviamo con quattro generazioni diverse nella stessa quotidianità lavorativa. Il grave segnale è indice di tre fenomeni importanti che vanno tenuti di conto e sicuramente analizzati ulteriormente, non per fini di calcolo, quanto più per fini di azione correttiva. Il primo fenomeno che nasce da questa crisi è il contrasto tra filosofie lavorative diametralmente opposte: laddove un lavoro signifca “sacrificio, gratificazione e valore aggiunto” per chi porta qualche annetto extra sulle spalle, è invece “risultato, versatilità, etica” per chi ancora è più fresco di sogni e speranze verso il futuro.

Un altro fattore negativo, ovviamente si trova nell’esecuzione: se tra dirigenza ed esecutivo c’è una differenza di filosofia lavorativa, vi lasciamo immaginare come il gap aumenti tra dirigenza e collaboratori in new-entry. 

Infine, non per importanza, il problema grave si traduce in  una situazione di scarsa comunicabilità che non definisce né insegue obiettivi comuni, e si arriva fino al punto in cui un’azienda non trova più il suo target e il personale inizia a perdere fiducia nell’azienda o nel settore.

Come ovviare dunque a un circolo vizioso che porta quasi inevitabilmente a un senso comune di inattività ed inadeguatezza? 

Semplice ma complicatissimo: bisogna tracciare una nuova strada che trascende età ed abitudini, mentre il resto deve assumere una sfumaturea di contorno.

 

Come Fare?

Come spesso affermiamo in Camelot, sul podcast come in ogni occasione che abbiamo di esprimerci ,bisogna trovare il grande obiettivo comune di creare una realtà più soddisfacente per tutti, sotto tanti aspetti, e quest’ultimo deve essere orientato a produrre, a ottenere risultati, nel rispetto di etica e trasparenza, non con in mente concetti astratti che non si traducono in una missione che accomuni imprenditori e lavoratori: avere una realtà lavorativa soddisfacente. A tutto tondo.

come sempre: buon lavoro.